Numerosi intellettuali, filosofi, guru, e anche psicologi e terapeuti hanno promulgato “la trascendenza e l’abbandono dell’ego”. L’ego è infatti indicato come causa della sofferenza umana, in alcuni casi, e come un pernicioso ostacolo da superare per trovare il proprio sé, in altri. Ma se ci fermiamo un attimo a ragionare, scopriamo che come ogni cosa che esiste, esso ha sicuramente una funzione e uno scopo. Chiediamoci innanzitutto: cos’è l’ego? È ciò che identifica una forma, delineandone le caratteristiche. Pensando al regno animale, ad esempio, il leone si riconosce per la criniera, il ruggito, la forza, la regalità, ed il suo ruolo nella savana. Se per assurdo lo privassimo delle sue caratteristiche “leonine”, non sarebbe più un leone, anzi, non sarebbe proprio nulla, perché avremmo annullato il suo ego, la sua identità.

La causa della sofferenza di ogni essere umano non è l’ego, bensì la sua assenza. Il transiente in viaggio dentro al corpo fisico cerca se stesso in tutto quello che ha intorno; non sa chi è, non conosce il suo ego, e dunque non ha un ancoraggio stabile su un’ identità reale. Potenzialmente egli ha due direzioni da prendere. Quando si muove come Esploratore, il suo imperativo è la costante ricerca per ottenere conoscenza, e i suoi obiettivi sono volti all’evoluzione e al continuo perfezionamento. Egli si muove in modo attivo, prendendo responsabilità di ciò che gli accade, e si serve di ogni avversità in modo strumentale. Utilizza in questo modo anche il principio egoista, di cui abbiamo parlato ad esempio in questo articolo.

Per l’esploratore l’ente egoista è uno strumento che gli mostra, attraverso la sua resistenza, la direzione da seguire; è il trainer che lo mette costantemente alla prova. L’esploratore è per l’egoista il principio vitale, l’osservatore che dà un senso alla sua permanenza dentro a un corpo fisico. Quando invece il transiente si fa da parte, è passivo, non utilizza le avversità come motore bensì come blocco al movimento, ad esempio attraverso l’attaccamento o il rifiuto di un oggetto: in questo caso non c’è più un osservatore, e l’ente egoista viene lasciato solo. È in questa solitudine che percepisce di non avere alcuno scopo, e sviluppa una coscienza atomica, chiusa: lui è solo, contro tutti. Gli obiettivi quotidiani che formula sono quindi fittizi e diretti alla continua conferma del suo modello di conformità, delineato nelle sue convinzioni e condizioni.

Il principio egoista non è però cattivo, né subdolo: ha queste caratteristiche perché è stato lasciato solo a governare, ed è quindi diventato in reazione uno scaltro manipolatore. Ma come dobbiamo relazionarci con l’egoista, affinché sia strumentale alla nostra evoluzione? Prendendo lo scettro del comando della nostra vita, la responsabilità di ogni evento che ci accade, e riconoscendo tutte le volte in cui gli abbiamo ceduto questo scettro per la paura di affrontare ciò che avevamo davanti. Facendo infine tesoro dell’esperienza di riconoscimento, utilizzandola per non cadere nello stesso punto, e viceversa procedere verso il nostro obiettivo di ricerca.

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