“So di non sapere” disse Socrate alla giuria che lo stava condannando a morte, secondo quanto ci testimonia il suo allievo Platone. Con questo ossimoro, Socrate descrive la posizione del filosofo nella sua continua ricerca sull’origine di ogni cosa: egli sa di dover andare a fondo nell’indagine, invece di dissimulare la sua ignoranza fingendo un sapere che non ha. Ciò che il filosofo ha compreso sulla corruzione della conoscenza nella sua epoca può essere applicato anche alla nostra. Ma prima di addentrarci nei fenomeni che la caratterizzano, approfondiamo cosa significhi “sapere”.

Analizzando l’etimologia della parola, scopriremo che essa deriva dal latino sapĕre che significa “aver sapore” e “aver fatto esperienza di qualcosa”; dal greco saphḗs “manifesto, evidente” e sophós “uomo che investiga”. Da ciò deduciamo che, per poter asserire di sapere qualcosa occorre indagarlo, farne esperienza, e dunque poter riconoscere il suo “sapore”. Oggi, però, la parola viene utilizzata in modo corrotto. Conoscenza e sapere si riferiscono ad uno sterile apprendimento nozionistico, nel quale non ha posto l’esperienza diretta dell’oggetto studiato.

L’istituzione scolastica è la principale rappresentante di questo. Fin da piccoli, trascorriamo ore sui banchi ad ascoltare lezioni in modo passivo, e altrettante a casa a studiare a memoria nozioni e regole per poter fare bella figura all’interrogazione. Apprendiamo un sapere decontestualizzato e astratto, che riusciamo a replicare ma non ad applicare in modo intelligente. Per questo motivo, dimentichiamo rapidamente ciò che abbiamo studiato e abbiamo la percezione che esso non abbia alcuna utilità nella nostra vita quotidiana.

Esistono inoltre dei nuovi contesti virtuali di “trasmissione della conoscenza”, come le piattaforme per il self publishing, grazie alle quali chiunque può scrivere un libro e divulgarlo, e i canali video in cui si può raccontare o insegnare qualunque cosa. Si stanno rapidamente diffondendo, inoltre, portali web per la vendita delle proprie competenze e conoscenze. Con pochi click si acquistano, ad esempio, video consulenze di coaching, psicologia, consigli di bellezza o per il riordino degli spazi. Ovviamente queste piattaforme possono ospitare qualsiasi livello di informazione: da quella più competente e approfondita, frutto di sperimentazione, a quella decisamente più basica e priva di reale contenuto, come accade nella maggior parte dei casi.

Ci stiamo orientando verso la superficialità e l’inerzia cognitiva, ed occorre muoversi nella direzione inversa. Quando incappiamo in una parola o forma che non conosciamo, cerchiamo rapidamente informazioni al riguardo, e ci fermiamo lì, credendo di aver imparato qualcosa di nuovo. Al contrario, non abbiamo appreso nulla. Il movimento naturale intrinseco ad ogni essere umano, il Cercare, consiste invece nell’indagare a fondo un oggetto, porsi domande che a loro volta ne richiameranno altre, e ognuna di esse sarà una nuova porta aperta verso la conoscenza.

Facciamo un esempio. Se amiamo i fiori, impariamo a prendercene cura. Quando scorriamo passivamente decine di immagini in rete e leggiamo la scheda botanica di un fiore non apprendiamo nulla. I dettagli tecnici e le foto bidimensionali non ci fanno sentire il suo profumo, sperimentare la sua unicità e cosa significhi curarlo nelle diverse stagioni, vederlo crescere e relazionarsi con gli insetti, partecipare alla fine del suo ciclo vitale in cui si trasformerà in un’altra forma. Solo avendo fatto esperienza diretta di quel fiore potremo dire di conoscerlo davvero.

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