Quando pensiamo all’ordine, probabilmente ci sorgono immagini di oggetti disposti in un modo che sia piacevole alla vista, e che tale disposizione abbia caratteristiche di staticità. Viene infatti comunemente valutato ordinato uno spazio in cui ogni oggetto ha una posizione coerente con le proprie personali regole di ordine, e che sia inoltre ottimale, al fine di essere mantenuta nel tempo.

L’etimologia ci mostra però una visione per certi aspetti inversa rispetto a quella comune, stimolandoci alla ricerca. Ordine deriva dal latino ordo, composto dalla radice ar-or, indicante il concetto di “nascere, cominciare”, e dal sanscrito rnômi e ar-nômi, “mi metto in movimento, suscito”. La parola nasce quindi dalla necessità di definire ciò che ci fa andare dal punto A a quello B, ovvero la sequenza di azioni che ci permette di raggiungere un risultato. Rilevando che il modo in cui ciascuno di noi mette in ordine uno spazio o lo ritiene disordinato è unico, possiamo facilmente dedurre che tale sequenza sia soggettiva, e rappresenti quindi ciò che siamo in quel momento, ovvero parli di noi. Infatti, se così non fosse, ci sarebbe un parametro di ordine universalmente riconosciuto.

Tralasciando per il momento il vero significato della parola, proseguiamo la nostra indagine, approfondendo la comune concezione di ordine. Una sequenza rappresentata da una disposizione di oggetti statica, assimilabile a quella dei reperti nella teca di un museo, non avrà l’obiettivo di farci sperimentare la nostra personale attitudine di movimento, ma risponderà a criteri quali il valore estetico o a una certa formalità. Immaginiamo ad esempio di avere una libreria di centinaia di testi catalogati in ordine alfabetico, dove il primo spazio disponibile sia dopo la lettera Q. Se dovessimo inserire un titolo con la lettera C, quale sarebbe il modo più funzionale di ordinarlo? Potremmo certamente spostare tutti i testi per poter creare uno spazio nella sezione C, impiegando però tutta la giornata; oppure potremmo semplificare il processo, inserendo il testo in un punto libero del mobile, e scrivendo in un indice la sua posizione. È lo stesso processo che avviene nel database di un computer, in cui “ordinare” significa assegnare una posizione a un oggetto nel modo più efficiente e rapido possibile, per poterla reperire in modo altrettanto immediato attraverso un indice.

Osservare il nostro modo di dare forma a uno spazio nell’atto del riordino, quindi, è un utile esercizio che ci permette di rilevare ad esempio l’espressione del nostro stato. A volte ci sentiamo stressati se dobbiamo trovare una posizione a dei nuovi oggetti nella nostra casa, al pari di quando una nuova sfida si palesa nel nostro orizzonte d’esperienza, come abbiamo visto ad esempio in questo articolo; oppure altre volte accumuliamo oggetti in uno spazio, generando delle aree di inerzia che riflettono la nostra resistenza al cambiamento. L’atto del riordino è dunque un fertile laboratorio per sviluppare la capacità di agire con la massima efficienza possibile verso un obiettivo, senza disperdere energie e risorse, sul modello del sistema naturale.

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