Per quale motivo ogni civiltà umana ha vissuto lo stesso ciclo di esistenza, che l’ha condotta dalla nascita alla prosperità, e poi alla decadenza e alla dissoluzione? Per la mancanza di uno scopo reale che le permettesse di perdurare nonostante le avversità, trasformando la propria forma per adattarsi alle differenti circostanze incontrate nel suo sviluppo.

La nascita di una civiltà ha sempre inizio da un nucleo semplice: un ristretto numero di esseri umani decide di vivere assieme, condividendo uno spazio e le risorse offerte da esso, per motivi legati alla sopravvivenza. Poiché ci troviamo in una matrice dispersiva, dominata dalla paura, come abbiamo visto in questo articolo, il motivatore, ovvero ciò che ci spinge a fare esperienza, ha questa forma. Infatti, a ben guardare, ciò che guida il bisogno di vivere in una comunità è la paura della morte, intesa non solo come tutela della sopravvivenza del corpo in senso stretto, ma anche come atavica paura della solitudine, che in questo modo viene attenuata.

La prima fase di una civiltà è una fase di crescita, in cui il potenziale e l’ingegno di ognuno vengono impiegati per affrontare le avversità e l’instabilità della vita quotidiana; gli individui si muovono come intero che ha uno scopo comune, per quanto sia originato dalla paura. A questa fase ne segue una di ricchezza e stabilità, in cui la sopravvivenza non è costantemente a rischio. Durante questa prosperità, la civiltà potrebbe continuare la sua evoluzione, sviluppando ad esempio la propria tecnologia, le arti, la ricerca. Invece, quando vengono meno le avversità che nel passato hanno determinato una continua crescita, l’evoluzione si ferma, e il tempo ora a disposizione viene sprecato in attività futili o nell’inerzia. Inoltre, poiché ci troviamo in una matrice dominata dalla paura, questa deve sempre prendere forma in qualche modo, anche quando non c’è nulla di cui preoccuparsi. Per questo motivo, nell’attuale società decadente in cui viviamo, ad esempio, non essendoci più predatori o agenti atmosferici da cui proteggersi, si sono generate forme come quella del crimine, e sono piuttosto diffuse patologie psicologiche come ansia, attacchi di panico, fobia sociale, ipocondria, e così via, che rappresentano la paura della vita stessa.

Nella “terza fase” di una civiltà, infine, un evento traumatico come una guerra, una catastrofe naturale o un’insurrezione interna, attiva la distruzione dell’intero. In quanto ricercatori, è di fondamentale importanza quindi apprendere dalle esperienze del passato, per non ripetere lo stesso ciclo. Se desideriamo dare vita a una civiltà, dobbiamo iniziare a immaginare una forma diversa da quelle che l’hanno preceduta; una forma che sia in continua evoluzione e trasformazione, sequenziata da obiettivi che portano a un risultato, inserita armonicamente nel contesto di cui fa parte, e la cui funzione, identità e struttura sono coerenti con lo scopo che si è prefissata. Per poter vedere in opera una forma come quella appena descritta, lasciamoci ispirare dal sistema naturale, all’interno del quale due o più elementi si uniscono meccanicamente tra loro con uno scopo comune, per generare un intero. Prendiamo ad esempio due sostanze chimiche: ossigeno e idrogeno. Esse si uniscono in modo naturale con lo scopo di generare l’acqua, che è il risultato di un processo di trasformazione e di evoluzione dei due elementi. Nella sua esistenza, l’acqua a sua volta vivrà continue mutazioni e cambi stato, pur mantenendo la coerenza della sua funzione e del suo scopo.

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