Quando non siamo focalizzati verso un obiettivo reale, il dubbio e l’incertezza si fanno strada, facendoci sentire “in balia degli eventi” e timorosi di affrontare la nostra quotidianità. Il mondo ci appare come qualcosa di caotico e disordinato, e siamo indotti ad affrontare gli eventi in modo passivo, subendoli invece di viverli, e quindi senza trarre da essi alcuna conoscenza. Appesantito e avvelenato dall’inerzia e dalla paura quotidiane, il nostro sofisticato sistema cognitivo e sensoriale, che ha la funzione di farci sperimentare ogni oggetto in modo sempre più approfondito, per entrare in relazione armonica con esso e conoscerlo, viene usato impropriamente e non produce alcun risultato. Utilizziamo il nostro corpo perlopiù per la sensazione psicotropa di uno stimolo fine a se stesso, per quello che chiamiamo divertimento, e in generale per svolgere azioni che non portano ad alcun risultato utile.
Per gran parte della giornata, dunque, disperdiamo il nostro potenziale, reagendo in modo meccanico e passivo a ciò che abbiamo davanti, seguendo modelli comportamentali finalizzati a darci l’illusione di vivere. L’atto dispersivo è ad esempio correlato alla rabbia, a una reiterata tristezza, all’abitudine al pensiero paranoico, e anche alla risata, e all’ilarità finalizzata alla ricerca del grottesco e del ridicolo fine a se stesso. Questa tendenza a sprecare il proprio potenziale è generalizzata, ed è legata all’idea che ogni cosa sia un bene di consumo, di cui fruire per soddisfare il bisogno di svolgere azioni che non portano ad alcun risultato.
Nonostante la tendenza dispersiva e la conseguente resistenza psicologica a un cambiamento di rotta, la struttura umana è stata progettata per dirigersi nella direzione inversa, ovvero per sperimentare un’azione in grado di produrre risultati che a loro volta portano dei frutti: sta a noi se seguirla o deviare da essa. Come suggerisce l’analisi etimologica di Anthropos, da cui deriva la locuzione “essere umano”, davanti a noi si stagliano due possibili strade. Il termine Anthropos è formato da an, che viene tradotto sia con il significato privativo “senza”, che con l’accezione “che viene da dentro”, “interiore”, e da tropos, “trasformazione, cambiamento”.
Nel primo caso, la parola indica dunque l’azione afflitta che ci induce al movimento senza scopo, quindi senza cambiamento e, delinea il blocco di qualsiasi possibile trasformazione che ci permette di evolvere in una nuova forma. In questo caso percepiamo il mondo come oggetto caotico, disordinato; ci illudiamo di star facendo qualcosa di utile, perché magari ci sembra di “fare fatica” nella nostra quotidianità, ma in realtà stiamo solo simulando il movimento, come dei criceti che corrono in una ruota. Considerando, invece, la seconda interpretazione della parola, vediamo che Anthropos definisce anche la continua trasformazione interiore dell’aspirante esploratore che si muove in modo produttivo, espandendo così il proprio orizzonte di esperienza. Se utilizziamo il sistema sensoriale e cognitivo in modo intelligente, seguendo la direzione naturale che è stata programmata per l’essere umano, quella della ricerca, possiamo facilmente rilevare l’ordine in cui opera il mondo, all’interno del quale nulla si muove in modo casuale, e in cui ogni oggetto ha una funzione. In questo caso riusciamo a comprendere che tutto ciò che ci circonda non è soggetto al caos, bensì è ordinato, e che tale ordine è espresso proprio dal cambiamento che attraversa ogni cosa, che è Vita.