Perché ci sono eventi o persone del nostro passato ai quali torniamo spesso con il pensiero? Per quale motivo quando abbiamo un’esperienza negativa con un oggetto, ci convinciamo che si replicherà? In parole povere, la risposta è questa: non abbiamo superato quello che ci è accaduto, non siamo riusciti a lasciare andare. Per quanto alla difficoltà di superare l’attaccamento o il rifiuto di una forma siano spesso attribuite connotazioni poetiche e romantiche – pensiamo ad alcune canzoni e opere cinematografiche sul tema – il modo in cui si esprime dal punto di vista cognitivo è squisitamente tecnico e meccanico.
I collegamenti neuronali che possiamo attivare sono potenzialmente infiniti, ma per creare nuove sinapsi occorre che il nostro “spazio di lavoro” sia sgombro. Quando qualcosa che non abbiamo risolto stagna dentro di noi, il che è piuttosto comune, l’efficienza del sistema di elaborazione centrale del corpo viene infatti compromessa, e funziona con una capacità ridotta. Possiamo paragonare l’inefficienza del nostro sistema cognitivo in queste circostanze al processore di un computer in sovraccarico. Abbiamo sperimentato più o meno tutti cosa avviene quando apriamo tante nuove schede nel browser: la memoria di lavoro del sistema si riempie, e ognuno dei processi attivi subisce dei rallentamenti. Se non corriamo ai ripari, chiudendo alcune delle finestre aperte, il computer si blocca, e siamo costretti a riavviarlo per continuare a usarlo.
La stessa cosa avviene quando ad esempio sperimentiamo una relazione finita in modo disastroso, e non riusciamo ad andare oltre la sofferenza che proviamo. Quell’esperienza riempie a tutti gli effetti la nostra “memoria di lavoro”. Se ad esempio la nostra relazione è naufragata perché con il nostro ex non c’era comunicazione, oppure per la convinzione di aver subìto un tradimento, per noi “Marco” (o “Laura”) diventa una persona superficiale, inaffidabile, immatura. E tale resta nella nostra percezione, finché non risolviamo quel blocco. Così, ogni volta che lo incontriamo per strada, anche anni dopo che ci siamo lasciati, sorgono in noi rabbia e frustrazione, e lo guardiamo solo attraverso il filtro delle etichette con cui lo abbiamo vincolato. Questo ci impedisce di vedere il nostro rapporto nella sua interezza: nei suoi alti e bassi, per i ricordi piacevoli e per quelli dolorosi, e soprattutto ci vela la sua essenza di relazione. Infatti, nonostante tutto, tra noi due si è instaurato un legame che può mutare forma nel tempo, ma non può mai essere cancellato. Inoltre, poiché la casella mentale “partner” è occupata dal significato di inaffidabile, freddo, e così via, associamo ogni uomo o donna a queste caratteristiche, aspettandoci di restare delusi da qualsiasi nuova relazione.
Anche se non ne siamo coscienti, stiamo vivendo ancora nel passato, ci troviamo lì, e non stiamo invece facendo esperienza di tutto quello che appartiene al nostro momento presente. Per poter andare oltre questo blocco, dobbiamo “premere invio”, accettare quell’esperienza, realizzando l’insegnamento che essa ci ha portato, e poi chiudere quel processo, per lasciare spazio a qualcosa di nuovo.