Come si evince dalla necessità di discipline come la giurisprudenza, e di modelli di riferimento sociali preconfezionati ai quali conformarsi, esiste l’illusoria convinzione che l’essere umano non abbia un suo movimento naturale, a differenza di tutte le altre forme figlie del sistema naturale. Questo è ovviamente un assunto illogico, in quanto basta guardarsi intorno per rilevare che non è cosi, e che anche il corpo umano appartiene al sistema naturale in cui vive. Non è infatti possibile che un sistema produca un oggetto che non è compatibile con se stesso.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, ognuno di noi ha uno scopo, una specifica funzione; non siamo “particelle impazzite nell’Universo”, bensì enti che hanno la loro giusta posizione, in sequenza con tutti gli altri, e il compito di scoprire quale sia il loro ruolo. Per scoprirlo, occorre metterlo in movimento, ma cosa significa? Immaginiamo un orologio, indagandolo con spirito da ricercatori: è un oggetto che segna sempre l’ora esatta grazie al sincronico movimento dei suoi differenti pezzi interni, ciascuno con la propria unicità, ma tutti orientati verso lo stesso scopo. Ecco, ognuna delle parti che ne compongono il complesso e perfetto meccanismo, ovvero la rotella, la molla, la lancetta e cosi via, ha uno specifico ruolo. Se un giorno una rotella uscisse fuori dall’orologio e tentasse di capire la sua funzione al di fuori del contesto in cui questa si manifesta, si sentirebbe frustrata e non otterrebbe alcuna risposta, perché la rotella non ha senso senza l’orologio.

Partendo dal presupposto per cui ogni corpo fisico ha una struttura negoziale e relazionale, e dunque si esprime e realizza nell’interazione con ciò che lo circonda, che è il grande laboratorio di ricerca di se stessi, scopriamo la nostra funzione indagando la relazione con l’intero in cui viviamo, come se fossimo le rotelle di un orologio.

 

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