Un modello morale viene definito da un insieme di regole comportamentali alle quali è necessario conformarsi, per poter far parte di uno specifico contesto sociale. All’interno di questo modello, cosa è “giusto” e cosa invece “sbagliato” sono immediatamente riconoscibili, e suggeriti sia dalle norme scritte che da quelle seguite implicitamente. Un ricercatore può dedurre che questo dualismo morale implichi innanzitutto un giudizio, e dunque non abbia alcunché di oggettivo; esso è infatti relativo, ovvero correlato a uno specifico contesto. Nell’ambito della quotidianità, i concetti di giusto e sbagliato si declinano, ad esempio, in quelli di vizio e virtù. In estrema sintesi, potemmo definire virtuoso ciò che è conforme alle regole morali e vizioso ciò che è difforme da esse.
Esaminiamo l’etimologia di Vizio, che deriva dal latino vitium, “difetto”. Se una forma ha un difetto, questo implica che chi la guarda abbia precedentemente stabilito cosa non è difettoso; egli ha quindi in mente un modello con cui effettuare un confronto. Come avviene per gli altri giudizi di valore, un valore è assegnato arbitrariamente, e quindi potremmo dire che “il vizio è nell’occhio di guarda”, ovvero è soggettivo.
L’etimologia della parola descrive inoltre il vizio come cattiva abitudine. Questo è anche uno dei più comuni utilizzi che si fanno oggi di questo concetto; si parla, ad esempio, del vizio di bere, fumare, mangiare troppo, del gioco, e cosi via. Potremmo limitarci a definire questi comportamenti come dannosi per noi stessi e per chi si ha vicino, ma a uno sguardo più approfondito rileviamo che si tratta di abitudini adottate solo da un ridotto numero di individui, appartenenti al nostro modello di riferimento. Questo ci fa dedurre che il vizio sia un qualcosa che rappresenta una minoranza difforme, e vada invece in conflitto con una maggioranza conforme.
Una riflessione su contesti sociali come il Puritanesimo e il Vittorianesimo ci permette di approfondire l’indagine, introducendo un’ulteriore sfaccettatura del vizio, che ne mostra la natura effimera e illusoria. In questi periodi storici, gli individui che desideravano essere accettati dalla società dovevano formalmente aderire a delle regole morali, dunque a un modo castigato di vestire, all’austerità legata alla standardizzazione dei consumi, alla devozione religiosa, e cosi via; in realtà, niente impediva però di dare sfogo a qualsiasi pulsione, purché si facesse lontano da sguardi indiscreti.
Prendiamo come esempio un altro modello basato su una repressione feroce dei vizi: il Proibizionismo negli Stati Uniti, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900. Cosa avveniva? Molte persone non sentivano alcun impulso a interrompere il consumo di alcool, ma erano costrette a simularlo pubblicamente. L’alcool veniva contrabbandato e venduto a prezzi esorbitanti, e molti privati si ingegnavano a produrre vino e distillati in casa propria. I cittadini mostravano quindi una finta facciata virtuosa che nascondeva una realtà privata dichiaratamente viziosa.
Gli esempi analizzati, cosi come i più noti e utilizzati significati della parola vizio, confermano che i concetti di vizio e virtù sono soggettivi e puramente formali. Essi sono pertanto illusioni proiettate su una forma dall’occhio di chi la sta guardando.