Una delle cose più difficili da fare per la maggior parte di noi è seguire qualcosa o qualcuno, che in quel momento è preposto a dare istruzioni, senza condizioni, senza se e senza ma. L’egoista in noi è standard, è uguale per tutti, come abbiamo detto ad esempio in questo articolo. Esso opera per non farci ottenere alcun risultato utile, bloccando il nostro movimento di esperienza, e farci permanere in una forma statica, cercando in questo modo di affermare se stesso e le convinzioni che lo definiscono. Percependosi come entità atomica e separata da tutto il resto, da cui crede di doversi proteggere, l’egoista si esprime inducendoci alla negazione di un oggetto, a un linguaggio ricco di termini approssimativi e di contraddizioni, a “rompere le scatole” senza motivo, e all’impellenza di esprimere sempre la nostra opinione, spingendoci ad attuare la distruzione dell’intero a cui apparteniamo.

Pensiamo a un intero qualsiasi in cui abbiamo ricoperto o ricopriamo un ruolo: una famiglia, un’azienda, una classe di studenti, una squadra di calcio, e così via. Per funzionare in modo efficiente, un intero ha bisogno di uno scopo comune che funga da ancoraggio, e in molti casi di un leader da seguire per poter organizzare gli obiettivi, per il raggiungimento di tale scopo. A differenza di quello che ci spinge a credere l’egoista, questa figura assume un ruolo di comando non perché sia più importante delle altre, ma perché ha maggiore esperienza e conoscenza, o semplicemente perché in quel momento è stato scelto per quel ruolo. Per questo motivo, affidarsi a chi ci sta guidando è logico e intelligente. Ma se pensiamo alle nostre esperienze, cosa accade generalmente? C’è una diffusa difficoltà a seguire: vuoi per invidia, vuoi per inerzia o per arroganza, perché seguire senza condizioni è faticoso, e il risultato è che l’intero perde la sua focalizzazione sullo scopo.

Per fare un esempio, immaginiamo di fare parte dell’equipaggio di una nave in rotta verso una missione. Per riuscire nell’impresa, occorre organizzazione: ogni elemento dell’equipaggio avrà un ruolo, definito dalle sue competenze. Se il marinaio addetto ai cannoni protesta con il comandante perché la paga è troppo bassa, o se il mozzo dà la sua opinione riguardo a una strategia militare da adottare, e il cuoco si mette a studiare le mappe invece di occuparsi delle provviste, il vascello non raggiungerà mai i suoi obiettivi.

Il più importante “comandante” da seguire per ognuno di noi è però il corpo fisico. Siamo Transienti in viaggio dentro a un veicolo fisico d’esperienza, che ci conduce letteralmente attraverso un percorso che ci porterà a riconoscere noi stessi. Il corpo fisico è infatti un’entità programmata che esegue un programma, al cui interno è scritta una storia. E sono altresì programmati la sua dinamica, i suoi istinti e le sue attitudini, che il Transiente ha il compito di seguire con fiducia e di “mettere in scena” dandogli il suo sapore, come fa un attore con il personaggio che interpreta. Quello che invece facciamo spesso è rifiutare il nostro veicolo d’esperienza, negando i suoi impulsi, ciò che gli piace, bloccando il suo movimento, criticando o anche modificandone l’aspetto, perché non esteticamente accettabile. Agiamo da ospiti indesiderati invece di essere inquilini che si prendono cura della propria casa. Ma se impariamo a seguire il corpo fisico con fiducia, lasciandolo esprimere liberamente, il nostro capitano ci condurrà alla meta di trovare noi stessi.

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