Tantissimo tempo fa l’essere umano aveva una percezione e concezione di tutto ciò che lo circondava molto più profonda di quella odierna. Ciò che era percepibile con i sensi del corpo fisico veniva indagato dagli individui, sia in quanto ente misurabile e tangibile, dunque come forma, sia per ciò che tale forma trasportava e veicolava dal punto di vista emotivo, ovvero il suo contenuto. In armonia con questa percezione, chi dava per primo il nome a un oggetto, ne creava uno che descriveva sia il suo aspetto che il “sapore” di ciò che egli sentiva nell’interazione con quell’oggetto.

L’essere umano si è progressivamente allontanato da questo modo di percepire ogni cosa, un processo culminato con l’avvento dell’epoca positivista. L’indagine scientifica del Positivismo si concentrava esclusivamente sull’aspetto formale di un fenomeno, escludendo il fatto che esso fosse stato generato dall’Autore di ogni cosa nel reame delle cause, e operando dunque un’illusoria separazione tra realtà e rappresentazione. Non è però possibile separare questi due aspetti, che sono due metà che si completano. Potremmo dire che la Realtà, ovvero il programma sottostante, è descritta dalla sua espressione; tuttavia, senza quest’ultima noi non potremmo percepire l’elemento reale di un oggetto, come abbiamo spiegato anche in questo articolo.

Possiamo comprendere meglio il funzionamento del sistema di realtà e rappresentazione, indagando ulteriormente la relazione tra i princìpi di forma e contenuto. Tutto ciò che fa parte del nostro orizzonte d’esperienza, e in generale tutto ciò che esiste, è composto da forme. Ma qual è la funzione di una Forma? Essa esiste per dare espressione a un contenuto, dandogli un ancoraggio formale, ovvero la possibilità di essere percepito, misurato, studiato; ma è quel contenuto l’elemento reale che l’individuo deve riconoscere.

Così come millenni fa, trovandosi di fronte alla bellezza dei fenomeni atmosferici o del fuoco, gli esseri umani riuscivano altresì a sentirne il contenuto, a percepire il potere che queste forme veicolavano, noi possiamo riconoscere l’elemento reale di un oggetto nella nostra quotidianità, ad esempio guardando un tramonto. Se considerassimo solo la sua rappresentazione, la forma scollegata dal suo contenuto, lo percepiremmo come un mero accostamento di colori cangianti. Invece, davanti al sole che tramonta noi proviamo qualcosa, ad esempio meraviglia o commozione; l’emozione che sorge in noi è frutto del concepimento tra ciò che siamo, che include il nostro stato in quel momento, e il contenuto reale veicolato dalla forma Tramonto.

Nella nostra indagine dell’origine e del funzionamento di ogni cosa che esiste, dobbiamo quindi recuperare la percezione del passato, come quella trasmessa da alcuni filosofi. Circa tre millenni fa, il filosofo Talete aveva appunto intuito che ogni cosa che esiste è figlia di un principio naturale sottostante e non percepibile, delineando così il funzionamento del sistema di realtà e rappresentazione. Per espandere il nostro orizzonte di esperienza dobbiamo dunque indagare un oggetto per ciò che davvero è, in entrambi i suoi aspetti di forma e contenuto, mettendo insieme ciò che è con vista e ciò che è senza vista, ovvero che si percepisce.

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