Uno degli ostacoli più diffusi e subdoli da superare, per iniziare una sincera e approfondita ricerca di sé, è l’inerzia. Questa inerzia veicola numerosi alibi, come ad esempio quello di non avere abbastanza tempo, abbastanza soldi o risorse. Se poi la ricerca di sé viene vincolata al procurarsi un antico libro su un determinato argomento, al frequentare costosi corsi di meditazione, o visitare i monasteri di qualche Paese orientale, le difficoltà addotte sembrano insormontabili. In realtà, per trovare se stessi non è necessario spostarsi migliaia di chilometri, essere ricchi, o avere tanto tempo libero; è sufficiente partire dall’osservazione della propria quotidianità, e dall’indagine del nostro principale strumento di esperienza: il corpo fisico. Per comprenderne la funzione, occorre entrarci in relazione.

Dobbiamo studiare la forma del nostro corpo, individuare i suoi “punti di forza e debolezza”, esplorare e sviluppare l’aspetto sensoriale a 360 gradi, ovvero senza valorizzare un oggetto con aggettivi positivi e negativi, ma indagandolo per ciò che è. Se non partiamo dal corpo fisico, non possiamo apprendere qualcosa nella sua interezza. Anche quando leggiamo un libro e vi traiamo delle informazioni, lo facciamo grazie al nostro apparato cognitivo e sensoriale: non possiamo imparare nulla che esuli dalla presenza del corpo.

Per comprendere meglio la funzione del corpo nella quotidianità, e il rapporto con il Transiente che fa esperienza dentro di esso, pensiamo alla relazione esclusiva che si sviluppa tra surf e surfista, e quella che i due elementi hanno con il mare. In primo luogo, il surfista o Transiente interagisce con le onde, il contesto nel quale esercita il suo ruolo, attraverso lo strumento surf, ovvero il corpo fisico. Un buon surfista sa cavalcare le onde e stare in equilibrio su di esse. E come fa a diventare esperto? Coltivando un intimo e costante rapporto con il suo strumento, il surf. Se ne prende cura spalmandoci la paraffina, lucidandolo e tenendolo al riparo, gesti che preparano lo strumento alle uscite in mare, quindi a realizzare il suo scopo. A sua volta il surfista si realizza cavalcando migliaia di onde, cadendo e rialzandosi continuamente e instancabilmente, mettendosi alla prova e scoprendo parti di sé grazie alle avversità che affronta.

Nella società in cui viviamo, l’interesse verso il corpo è sbilanciato invece sull’aspetto estetico fine a se stesso. Molti si allenano per ottenere prestanza fisica, o appesantiscono il corpo con ornamenti inutili ma ritenuti indispensabili perché “sono il trend del momento”. Di contro, viene messo da parte l’aspetto essenziale del corpo, quello di strumento di esperienza. Nel movimento naturale dell’essere umano, tutto ciò che ha a che fare con il corpo ha una funzione, altrimenti diventa un’inutile fonte di dispersione di energie. Ad esempio gli è funzionale un’alimentazione adeguata allo sviluppo del suo potenziale, e un allenamento che gli permetta di rafforzare la muscolatura oppure migliorare l’agilità. Riprendendo la precedente metafora, questo tipo di relazione con il corpo ci porta a rapportarci con le “onde quotidiane” in modo sempre più intenso, e a perfezionare ogni giorno di più la nostra abilità di surfisti.

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