Guardandoci intorno possiamo osservare che uno dei princìpi che regolano il funzionamento di ogni cosa che esiste è la trasformazione, il cambiamento. Tutte le forme esistono e hanno un senso perché adempiono a una specifica funzione, che altresì definisce il loro scopo all’interno del contesto a cui appartengono. Il modo in cui tale funzione e scopo si estrinsecano è attraverso il movimento, che determina una trasformazione. Il sistema naturale ci offre innumerevoli esempi di questa dinamica: il bruco che diventa farfalla, il ciclo vitale di un vegetale, e la continua attività trasformativa che si svolge all’interno del nostro corpo, a partire dalle sue componenti elementari, le cellule.
Nonostante la trasformazione sia ciò che dà senso all’esistenza di qualunque forma e le permette di evolvere, la più grande paura dell’essere umano è proprio quella del cambiamento. Essa può declinarsi in diverse forme – in un’ipocondria latente, come paura della morte del corpo fisico, oppure in stati di forte attaccamento o di rifiuto per qualcosa – ma indica sempre il timore dell’ignoto e di lasciare la propria vecchia forma per sperimentarne una nuova. Vediamo più nel dettaglio perché si manifesta tale paura.
L’individuo che fa esperienza di ciò che egli è dentro a un corpo fisico ha davanti a sé quello che potremmo definire il suo orizzonte d’esperienza, che può potenzialmente espandersi all’infinito. Come potremmo facilmente dedurre, ciò che permette tale espansione è il cambiamento; viceversa, l’inerzia e l’attaccamento al vecchio non portano ad alcuna crescita esperienziale. Quando all’interno dell’orizzonte viene messo in gioco un nuovo elemento, ovvero quando incontriamo qualcosa di nuovo, il più delle volte lo percepiamo inizialmente come caotico e potenzialmente minaccioso, poiché non ha ancora una collocazione all’interno di noi; questo “caos” da riordinare e riconoscere corrisponde altresì a una perturbazione emotiva.
Il naturale movimento trasformativo dell’individuo è ostacolato, quindi, da uno inverso: quello di resistenza al cambiamento, attuato da parte del principio di resistenza o egoista, di cui abbiamo parlato ad esempio in questo articolo. Il principio egoista non vuole cambiare, ed ecco perché quando la maggior parte di noi si trova davanti a qualcosa che non ha mai affrontato prima, sente paura. La reazione “suggerita” dalla parte di noi egoista è quella di farci rifiutare ogni cambiamento, facendo sì che lo bypassiamo o combattiamo, con il risultato di bloccare il nostro movimento di esperienza.
Come dovremmo invece comportarci nei confronti dell’elemento ignoto che abbiamo davanti? Innanzitutto affrontandolo con fiducia, in quanto ciò che entra a far parte del nostro orizzonte è scritto per noi, ed è ovviamente utile all’interno del percorso di ricerca di ciò che siamo, altrimenti non lo avremmo incontrato. Dobbiamo dunque riuscire a dare forma a quell’elemento entrando in relazione con esso, superando la sensazione di paura che ci provoca. Ciò che in realtà porta un elemento ignoto non è infatti un ostacolo, una “sfiga”, bensì una sfida, che ci permette di raccogliere un tassello in più del puzzle di ciò che siamo e che cerchiamo incessantemente.