Il contesto in cui ognuno di noi cerca la sua identità di Individuo è la vita quotidiana. È infatti in questo scenario che sperimentiamo ciò che siamo, attraverso la relazione con tutto ciò che ci circonda, incluse le persone con cui costruiamo dei legami. Dal punto di vista del Transiente che sta facendo esperienza dentro a un corpo fisico, non esistono legami più o meno importanti: il barista che ci ha servito un caffè, e con cui abbiamo scambiato poche parole, è altrettanto funzionale alla nostra evoluzione del partner con cui trascorriamo vent’anni o dei nostri figli. Tuttavia, ci sono dei contesti, come ad esempio la famiglia, in cui è più immediato vedere in opera le dinamiche relazionali e il modo in cui il principio egoista in noi le corrompe.
L’egoista è per noi una sorta di trainer, che ci mette alla prova per far emergere il nostro reale intento, come abbiamo visto ad esempio in questo articolo. I meccanismi di reattività che definiscono il suo modello di conformità, con cui blocca il nostro movimento, sono degli indicatori che ci mostrano qual è invece la corretta direzione da perseguire, quella evolutiva. Quando ci troviamo in uno stato afflitto, anche il linguaggio che utilizziamo rispecchia il vincolo dell’egoista; sia che siamo ad esempio rabbiosi, depressi, insicuri, paurosi o cinici, le parole scelte giustificheranno un solo risultato: quello di stare fermi, mantenendo lo status quo delle cose.
In quanto ricercatori, è importante osservare questi atteggiamenti e da dove essi derivano. Il principio di resistenza è basato su modelli standard, che però si adattano e amalgamano al contesto familiare e ambientale in cui cresciamo. Se prestiamo attenzione, noteremo che in molti casi le dinamiche che mettiamo in opera nelle relazioni sono le stesse che hanno messo in atto i nostri genitori con noi. I genitori ci trasmettono un imprinting, una trascrizione che a loro volta hanno ricevuto dai loro genitori, e che continua a trasmettersi di generazione in generazione. Per fare un esempio, l’ente parametrico dentro di noi valorizzerà come atteggiamento “vincente” il vittimismo di nostra madre o l’arroganza di nostro padre, inducendoci ad adottarlo durante un litigio con qualcuno. All’interno del nostro sistema cognitivo si costruiranno degli equivalenti circuiti neuronali, che chiamiamo engrammi. Gli engrammi costituiscono la rappresentazione neurologica delle dinamiche negoziali che vive un corpo fisico, e si solidificano ogni qualvolta viene messa in atto la corrispondente dinamica. Reiteriamo così i comportamenti disfunzionali appresi in famiglia, con i loro relativi engrammi, anche quando non ci troviamo in quel contesto, perché essi diventano con il tempo un ancoraggio identitario.
Per rompere questo circolo vizioso, occorre imparare ad osservare i meccanismi egoisti, sviluppando quello che chiamiamo sistema ipercognitivo, che implica tra l’altro la capacità di osservare dall’esterno i processi meccanici e reattivi che fanno capo alla matrice dispersiva. All’inizio non sarà facile riconoscerli, perché ognuno di quei comportamenti è profondamente radicato in noi, è abitudinario e passivo. Ricollegandoci al tema della famiglia, chi di noi ha o avrà dei figli dovrà quindi relazionarsi con loro in modo responsabile. Dovremo fare sì che nostro figlio o figlia possa esprimere ciò che è, lasciandolo libero di fare esperienza. Insegnandogli che ci sono comportamenti e oggetti con cui può ferirsi o danneggiare se stesso, ma senza vincolare la sua sperimentazione quotidiana con giudizi e valorizzazioni bloccanti.