Ponendo attenzione alla forma arbitraria in cui i media veicolano “informazione”, e al fatto che noi la consideriamo tale, possiamo riconoscere anche il modo “fazioso” in cui percepiamo ciò che ci circonda, e lo raccontiamo attraverso il linguaggio. Come abbiamo detto in questo articolo, la nostra percezione è sempre filtrata dal principio egoista in noi, e dal modello comportamentale che questo ente illusorio veicola, che è una declinazione di quello sociale. Se il nostro sguardo è corrotto, lo stesso avverrà per il linguaggio, strumento atto a descrivere ciò che vediamo e trarne un significato. Un linguaggio corrotto è fatto di opinioni, che non ci permettono di esprimere concetti oggettivi, né di definire un oggetto per ciò che è.
Il significato della parola Opinione è quello di “giudizio sulle cose che ancora non si conoscono”. Delinea quindi un’affermazione arbitraria, priva di alcun fondamento logico. Quando un’affermazione di questo tipo ne incontra miliardi di altre, perché ovviamente ognuno di noi ha la sua personale opinione sulle cose e vuole esprimerla, si generano confusione e conflitto e degli schieramenti. Nella quotidianità non è infatti tanto importante un’informazione, quanto la posizione che si prende in merito a essa.
Abbiamo detto che anche l’informazione che ci arriva dai media ha questa forma. Per esempio, quando la maggior parte di essi racconta una guerra, la scelta delle immagini e la narrazione utilizzata non esprimono quello che sta accadendo sul campo; le scelte narrative inducono piuttosto chi ascolta a schierarsi con l’uno o l’altro Paese coinvolto. La generazione di schieramenti attraverso opinioni è evidente anche nella figura degli opinionisti, personaggi noti al grande pubblico invitati a “dire la loro” in contesti che non hanno nulla a che fare con il loro background professionale. Pensiamo ai format televisivi del talk show e del reality. Lo scopo di questi programmi e degli opinionisti che vi partecipano, è quello di fomentare uno schieramento nel pubblico, attraverso la presentazione di punti di vista soggettivi, che stimolano conflitti. Questi punti di vista hanno un forte impatto emotivo su chi ascolta, che tende ad indentificarsi con essi, e ad accettare per inerzia tutto il pacchetto che quell’opinione comprende. Quando ad esempio si parla del contesto politico, ci si riferisce a dei generali e preconfezionati pensieri “di destra” o “di sinistra”.
Cosa dovremmo fare, invece, per poter parlare con cognizione di causa di un argomento? Innanzitutto dire la verità, ovvero ciò che sappiamo, le informazioni che abbiamo raccolto in merito, se ne abbiamo. In secondo luogo, se siamo incuriositi da un evento, dallo studio di una disciplina, dal funzionamento di un oggetto, raccogliamo informazioni su di esso e facciamo altresì esperienza di questi dati, utilizzandoli in un contesto in cui possano produrre dei risultati. Parlare di un argomento di cui non si sa nulla di oggettivo, è un inutile dare aria alla bocca, un atto di dispersione che ci induce a rimanere fermi dove siamo: a continuare ad osservare quello che ci circonda attraverso degli standard valoriali, generando delle sterili opinioni invece che conoscenza.