Il dialogo interreligioso, secondo il mio punto di vista, è impossibile fintanto che esisteranno le istituzioni religiose. Il rapporto che c’è tra le religioni, infatti, da ciò che si può osservare, è molto più simile a quello che intercorre tra squadre di calcio. Un tifoso del Milan non penserà mai che l’Inter abbia qualcosa di valido da dire, anche se, ed è questo il fatto interessante, entrambe le squadre giocano a calcio, seguendo le stesse regole: tutti, cioè, vogliono puntare alla porta e fare goal. Sembra, in realtà, che solo le grandi religioni monoteiste abbiano questo problema, perché se si guarda alle religioni orientali, e in particolare all’Induismo, al Buddismo e al Tantra, si scopre che non sono poi tanto in disaccordo tra loro; molti degli assunti che professano, anzi, sono identici. Per lo stesso motivo, in verità non dovrebbe essere difficile nemmeno il dialogo tra Cristianesimo eIslam, perché anche gli islamici credono in Dio, in Gesù Cristo e negli Arcangeli, sebbene pensino che Gesù non sia figlio di Dio, bensì un profeta. Un profeta, ricordiamolo, come lo sono stati anche Elia, Daniele e Mosè, ha comunque un contatto con il mondo divino, e si pone anche come interprete di quella parola. Se andiamo all’origine del Cristianesimo, d’altra parte, vediamo che, anche all’epoca del Concilio di Nicea, le sette degli Ariani e Trinitaristi combattevano all’ultimo sangue, fino a che Costantino il Grande, come la storia insegna, non si è messo d’accordo con i Trinitaristi, i quali, con gran frastuono di vangeli sbattuti sultavolo del Concilio, riuscirono a spuntarla. Per tornare ai giorni nostri, possiamo osservare, ad esempio, le continue faide in Irlanda del Nord tra cattolici e protestanti, che peraltro credono entrambi in Dio, e pure in Gesù Cristo. Tutto questo, senza considerare che i vangeli ufficiali sono stati scritti molto dopo la morte di Cristo, come è accaduto d’altra parte anche per il canone buddista, relativamente a Buddha. Si dice giustamente che il Buddismo non afferma che l’Assoluto non esiste, afferma che non abbiamo gli strumenti per determinare se l’Assoluto esiste. Si dice anche che il Buddha non era una divinità.

Il Buddismo, in sostanza, ritiene, a torto o a ragione, che tutto ciò che vediamo intorno a noi è una manifestazione del Tutto, e noi ne siamo una piccola parte. Non siamo diversi da Dio, ma non siamo neanche uguali a Lui, siamo all’interno di Dio. Per questo motivo, ritiene anche che le divinità dell’Induismo siano inferiori allo stesso Buddha, perché ancora identificate in una forma. La Realtà suprema, invece, non ha forma. E in effetti, noi cosa ne sappiamo? Se fossimo dei gatti, potremmo immaginare Dio con dei grossi baffi, i dentini aguzzi, mentre si strofina le orecchie e si lecca,anche se certamente, dal nostro punto di vista, lo farebbe meglio,in modo più assoluto. Oppure, potremmo semplicemente riconoscere che siamo solo dei poveri gatti, e non possiamo, quindi, sapere cosa c’è Oltre. Qualcuno qui dentro può dire di avere la visione di Dio? No, come non ce l’ha il gatto. Non abbiamo, infatti, la facoltà né di umanizzare un Divino, né dideterminare e descrivere l’Assoluto, perché siamo in fondo comepiccoli microbi che vivono una realtà relativa e, in quanto tali, non possiamo avere gli strumenti per determinare la Realtà. Detto questo, non la neghiamo, cioè tendiamo all’evoluzione. A questo proposito, voglio ricordare un aneddoto esemplare, raccontato da Carlos Castaneda in un bellissimo libro, dove descrive un viaggio fatto con il suo maestro Don Juan, uno sciamano yaqui. Un giorno, si trova su una strada, e vede una lumaca in mezzo alla carreggiata. Il maestro era alle sue spalle, e Castaneda, per fare bella figura con lui, prende la lumaca con fare compassionevole e delicatamente la mette a lato della strada per salvarla dalle macchine. Si volta, poi, verso il maestro, con l’aria compiaciuta di chi aspetta il plauso. Don Juan lo guarda con pietàe gli dice: “Ma che cosa hai fatto? Quella lumaca ci ha messo milioni di anni per arrivare proprio lì, e tu le hai rovinato tutto”. Questa è una piccola metafora della nostra presunzione nel cercare di cambiare, di interpretare o di asserire qual è la verità più vera delle altre. Ed è questo il grande problema delle religioni, secondo il mio punto di vista, ovvero l’affermare che quello che dice una è più vero di quello che dice un’altra. E se l’una cerca di negare quello che dice l’altra, allora mette in pericolo tutte le certezzecostruite nel tempo. Dunque, va soppressa. Possiamo fare anche un altro esempio, in proposito, testimoniante il paradosso. Sappiamo che quando Gesù Cristo è sceso sulla Terra, alla fine l’hanno ammazzato. Tutti aspettavano il Messia da migliaia di anni, dall’epoca babilonese di Ciro il Grande, delprofeta Daniele.

Tantissime persone si erano anche elette a interpreti di ciò che il Messia sarebbe stato e avrebbe detto,dicendo di essere vicine a lui; esattamente come ora molte personeasseriscono di vedere la Madonna, o di avere collegamenti e canalizzazioni varie. Quando è arrivato, ha suscitato la paura, perché una cosa è adorare un pezzo di legno o una statua, un’altra cosa è avere davanti il vero oggetto dell’adorazione. Noi, infatti, ora ci limitiamo ad adorare un pezzo di legno, oppure la statua del Buddha o quella di Shiva, eccetera, ma sono solo degli oggetti a cui attribuiamo un significato. Chi può dire di aver davvero visto il Buddha? Che cos’era, e che cosa potremmo provare di fronte a lui? Che cosa avranno provato, dunque, i contemporanei di Gesù di fronte a Dio incarnato, secondo ovviamente l’accezione attribuitagli daiTrinitaristi, oppure in ogni caso di fronte a un profeta, un Maestro,un essere enorme in confronto a quello che noi ci immaginiamo. Tante certezze saranno crollate, e così tutti i film mentali che unopoteva essersi creato, perché avendo davanti la vera figura, c’era il rischio magari di essere smentito totalmente. La reazione quindi èstata quella di ammazzarlo, prima che distruggesse tutta la loro vita. Vorrei fare, a questo punto, una piccola precisazione riguardo alrapporto tra Maestro e discepolo. Se è pur vero che il Maestro richiede obbedienza assoluta, concetto antichissimo e proprio non solo delle religioni orientali, perché lo si ritrova, ad esempio, anche nel Sufismo, è altresì vero che non è il Maestro che cerca il discepolo e gli impone obbedienza. È il discepolo, invece, che cerca il Maestro, cercando di ottenere la sua attenzione quando lo riconosce, e fa di tutto per essere accettato come discepolo, perché ritiene che quello che ha davanti è la cosa più vicina al Divino che possa vedere, colui che lo può guidare. La figura più simile a questa, nel cattolicesimo, è quella del BuonPastore, dove esiste un pastore che guida una pecora. Il Maestro è, quindi, colui che ti può indicare la Via, che ha la visione di quale direzione devi prendere per evolvere, perché tu non ce l’hai, da solo non puoi farlo.]]>

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