Ci siamo mai chiesti per quale motivo facciamo un favore a qualcuno, e come questo ci fa sentire? Se torniamo con la mente alle volte in cui abbiamo dato una mano a un amico, al nostro partner, o a uno sconosciuto, o viceversa l’abbiamo ricevuta noi, scopriamo che nell’istante successivo al nostro gesto, abbiamo percepito di essere in credito o in debito. Tale percezione è legata alla convenzione sociale, presente in moltissime culture, che ciò che si riceve debba essere in qualche modo ricambiato. L’atto di ripagare un debito è correlato al verbo “dovere” perché consegue alla generazione di un vincolo tra debitore e creditore.
Nel sistema naturale non avviene così, e neanche per il Transiente nel suo stato naturale. Ma la presenza dell’ente egoista dentro ognuno di noi, un ente illusorio che ha perso il suo scopo, ci induce a una percezione atomica del nostro contesto, in cui ogni elemento è scisso e indipendente da tutti gli altri. Ecco perché abbiamo una costante sensazione di poter essere fregati dal prossimo, quasi ce lo aspettassimo. Ed ecco perché durante la nostra quotidianità, soprattutto nei momenti di relax o a seguito di un’attività di intensa concentrazione, siamo bombardati da pensieri di rabbia e di frustrazione, relativi a cicli di azione rimasti aperti. Se osservati attentamente, questi pensieri ci svelano la loro natura debitoria o creditoria. Per esempio, pensiamo cose come “Gianni mi ha mancato di rispetto”, “non mi meritavo di essere trattato così”, “in questa casa faccio tutto io!”, “avrei dovuto dire al mio capo che è uno stupido, ma non mi conviene”, e così via.
La loro natura è evidente dal fatto che essi derivano sempre da un’aspettativa, dall’attesa di una sola e specifica risposta che, non essendo arrivata, ci fa sentire frustrati. Per riconoscere quanto sia subdolo il vincolo del credito, immaginiamo qualcosa di “gentile” e che ci fa stare bene, come aiutare una vecchietta ad attraversare la strada: ci aspettiamo che lei ci sorrida, si prodighi in ringraziamenti. Ma se lei non ci ringrazia, ci ignora, o addirittura ci dice “fatti gli affari tuoi, so attraversare da sola!”, come reagiamo? Proviamo la stessa sensazione di benessere, oppure ci sentiamo a disagio e offesi?
Quando un gesto di gentilezza è fatto in modo incondizionato, senza pensiero, è qualcosa di puro, e noi proviamo una sensazione di benessere, che non ha nulla a che fare con un obbligo generato. Il beneficio quindi sta nel movimento stesso: ogni volta che nel nostro movimento di esperienza generiamo una nuova forma, dentro di noi viene evocata una parte di ciò che siamo, e che dobbiamo riconoscere; di conseguenza il nostro orizzonte di conoscenza si amplia, e quella è la nostra ricompensa. Viceversa, il fatto di agire con la costante sensazione di un debito o di un credito nei confronti altrui è dato dall’ente egoista, ed esprime una profonda sfiducia nei confronti del sistema naturale. In realtà, all’interno del sistema naturale, che è stato progettato e deriva da Dio, non saremo mai in una condizione di obbligo, perché Dio ci ha dato la vita per esprimere una specifica funzione all’interno del contesto in cui viviamo. Tutto quello che ci capiterà farà parte della nostra storia, e il sistema stesso non ci farà mai mancare ciò di cui abbiamo realmente bisogno per adempiere alla nostra funzione.