Ogni essere umano vive in un contesto regolato da uno specifico modello di riferimento, che è in primo luogo un modello morale. Uno dei significati della parola Morale, infatti, la definisce come “pratica del bene” e “scienza dei costumi”, poiché essa “insegna le regole che devono dirigere l’attività libera dell’uomo”. Ne deduciamo che ogni nostro comportamento e opinione sono influenzati da questa “entità regolatrice”. La morale stabilisce ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è conforme e ciò che non lo è, definendo uno standard che si propone come assoluto e oggettivo.

Osservando l’enorme varietà di modelli culturali e sociali rileviamo, in realtà, che vale il detto “Paese che vai morale che trovi”; esiste inoltre una “morale di gruppo”, con riferimento all’appartenenza politica, religiosa, alle preferenze alimentari, e cosi via. La morale è quindi relativa, non esiste qualcosa che sia “ok” in assoluto, ma solo in relazione a un contesto.

Nell’ambito del percorso di ricerca di noi stessi, l’indagine sul modello di riferimento, sul potere che esso ha su di noi e quanto ci vincoli è fondamentale. Vi aderiamo fin da piccoli e per cosi tanto tempo, che il rischio di un’identificazione è molto alto. L’identificazione consiste in un modo di agire che è limitato e influenzato dai feedback di conformità che riceviamo, e ha come risultato l’interruzione del movimento naturale di ricerca.

Come è quindi opportuno comportarsi? Potrebbe sorgere la tentazione di opporsi al modello, di sfidarlo, “svelarne l’inganno”, ma assecondare questo impulso sarebbe controproducente. Per indagare qualcosa dobbiamo farne esperienza, entrarci in relazione. Occorre dunque aderire al modello di riferimento, ricoprendo al suo interno un ruolo conforme, senza cadere nell’identificazione. Allo stesso tempo, è utile indagare i valori che diamo alle cose, ciò che riteniamo bello o brutto, giusto o sbagliato, e cosi via, per verificare che le nostre preferenze sono libere solo in apparenza.

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