La facoltà di pensare è comunemente ritenuta una qualità propria dell’essere umano, che lo nobilita rispetto alle altre specie viventi. Numerose discipline hanno cercato di indagarne la misteriosa natura, senza mai ottenere risposte definitive. Ricordiamo ad esempio il filosofico “Cogito ergo sum” di cartesiana memoria, e le numerose ricerche sul funzionamento del sistema cognitivo umano nell’ambito delle neuroscienze. Ma cosa sono quelle immagini correlate a contenuti emotivi che attraversano di continuo la nostra mente?

Quelli che chiamiamo “pensieri” appartengono a degli engrammi, costrutti e circuiti neuronali che, come tutte le cose che esistono in questa dimensione, hanno una funzione e uno scopo. Come abbiamo visto ad esempio in questo articolo, la presenza dell’ente egoista, basato su un rigido modello di conformità che influenza tutta la nostra quotidianità, fa sì che gli engrammi, che possiamo definire con quelle che consideriamo le nostre peculiari caratteristiche, siano strutture atomiche, rigide, statiche, chiuse e in continua competizione l’una con l’altra. Essi si attivano meccanicamente per reazione, e riguardano tutti gli aspetti della nostra quotidianità: per fare solo un esempio, se abbiamo la convinzione che tutti ce l’abbiano sempre con noi, e un nostro amico ci saluta in modo più freddo del solito, reagiamo a quell’oggetto con pensieri paranoici al riguardo.

E qual è in poche parole l’origine di un engramma? Un engramma e i singoli pensieri non sono qualcosa che proviene dall’esterno e che si attiva nel nostro cervello. Anche se siamo costantemente accompagnati da un chiacchiericcio mentale, o abbiamo improvvisi pensieri di rabbia, odio, paura o frustrazione, legati a diversi oggetti e senza un motivo concreto che in quel momento ne sia la causa, l’origine è sempre e solo una: noi stessi. Li abbiamo prodotti noi, sono a tutti gli effetti nostri figli.

Poiché in questa dimensione ogni forma, perfino il pensiero, è stata progettata con le caratteristiche di un essere vivente, ogni engramma ha una funzione e uno scopo, e per attuarli ha bisogno di nutrirsi, crescere e svilupparsi. Possiamo verificarlo ricordando tutte le volte in cui un pensiero o una preoccupazione hanno interamente fagocitato la nostra attenzione, in un contesto che non ha nulla a che fare con quel pensiero, risultando quindi un oggetto di distrazione. Ad esempio, se sono al lavoro, penso alla spesa che devo fare; se sono con la famiglia, sorge il pensiero del lavoro, e così via. Oltre ad attirare costantemente la nostra attenzione, per nutrirsi e crescere l’engramma ci induce a comportarci in un modo che confermi e giustifichi la sua presenza: per esempio, se siamo terrorizzati dall’idea di perdere il lavoro, o di perdere il nostro partner, adotteremo dei comportamenti di auto sabotaggio volti a farci licenziare, o a farci davvero lasciare.

Comprendere come funziona il nostro sistema cognitivo “egoista” è dunque un indizio indispensabile per cambiare le cose. Se i pensieri derivano da noi, significa infatti che siamo anche in grado di generare un nuovo sistema engrammatico. E in che modo? Allenandoci a osservare i nostri processi cognitivi egoisti, e il “risultato zero” che la maggior parte delle volte ci portano, ad esempio dispersione emotiva, confusione, inerzia, paranoia verso il prossimo. Partendo dall’osservazione, abbiamo la possibilità di imparare a generare dei figli che abbiano viceversa uno scopo unico e unificante, frutto del desiderio di espansione e di evoluzione e non della paura, e che facciano crescere il sistema che li contiene indefinitamente, nutrendosi di informazioni ed esperienza per generare conoscenza.

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