Fin da piccoli, viviamo immersi all’interno di un contesto sociale e culturale complesso, che potremmo chiamare modello morale o di conformità. Esso determina tutti i contesti semplici ai quali apparteniamo, come la famiglia, la scuola, l’ambito lavorativo, e così via. Il modello morale è organizzato secondo rigidi standard, che condizionano e vincolano la libera esperienza di chi vi appartiene, e lo inducono a giudicare ogni cosa attraverso l’assegnazione di un valore positivo e conforme, o negativo e quindi difforme.

Per poter essere accettati nel contesto sociale in cui si vive è indispensabile essere conformi al modello morale di riferimento; questo significa rispettare formalmente le regole comportamentali imposte. Tale aderenza al solo aspetto formale di una norma si declina in quella che potremmo definire afflizione della formalità. Essa influenza tutti gli aspetti della vita quotidiana, e consiste nel valorizzare positivamente o meno un oggetto esclusivamente per la sua forma, a prescindere dal contenuto che tale forma veicoli. Possiamo rilevarlo ad esempio nella struttura burocratica, quando ci è richiesto di compilare decine di moduli per confermare dal punto di vista amministrativo qualcosa che è evidente, come il possesso di un bene, la nascita di un figlio, o l’esercizio di un proprio diritto. Viceversa, vi sono casi in cui la conformità formale alle regole burocratiche permette di ottenere o di garantirsi dei benefici immeritati.

Possiamo verificare la presenza dell’afflizione della formalità anche in relazione ad alcuni comuni “valori morali imprescindibili” come il cosiddetto rispetto. Immaginiamo che un nostro sottoposto si prenda con noi eccessiva confidenza, ignorando la gerarchia dei ruoli: non ci sentiamo “rispettati”, e dunque lo prendiamo da parte per “dirgliene quattro”. A questo punto, potrebbe generarsi un conflitto, oppure la persona che “ci ha mancato di rispetto” potrebbe chiederci scusa per il suo comportamento (ma non sapremo mai se è stata sincera o lo ha fatto solo per formalità). Mettiamo che si realizzi quest’ultima ipotesi e chiediamoci: a cosa ci serve il rispetto formale che abbiamo ottenuto? Ha fatto espandere il nostro orizzonte di esperienza? Ovviamente no.

Quando siamo davanti a qualcosa che ci sembra importante, dunque, perché magari fa parte di una questione di principio, domandiamoci qual è il suo scopo, ovvero a quale risultato di conoscenza ci potrebbe portare. Chiediamoci inoltre se quell’oggetto è qualcosa che potremmo perdere. Se è così, si tratta di un’illusione. Immaginiamo di essere dei musicisti: potremmo perdere gli anni di studio della musica e la nostra capacità di suonare uno strumento? No, perché il nostro studio e ciò che abbiamo appreso costituiscono un’esperienza reale, non un’illusione formale, ed essa ci ha portato un risultato di conoscenza. Tale conoscenza fa quindi parte di noi, la conteniamo e niente e nessuno potrebbe mai portarcela via.

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