A molti è capitato di imbattersi in film, programmi televisivi, articoli, corsi di formazione che proponevano un modello vincente. Nella società in cui viviamo, qualcosa di vincente è prorompente, riconosciuto socialmente; porta successo, fama, denaro e suscita invidia.
La parola Vincere etimologicamente rimanda a “vincolare, soggiogare, avere la meglio in un combattimento grazie alla propria superiorità”; riguarda dunque l’atto di sottomettere. Traslando questo significato nella quotidianità, possiamo in effetti osservare che il modello vincente ha un “sapore” arrogante, coercitivo. Il messaggio che viene veicolato tra le righe è di questo tipo: “se non segui questo business sei un perdente”, oppure “se non indossi anche tu questa marca sei uno sfigato”.
Il modello vincente si esprime nella sindrome degli influencer, personaggi emblematici dell’epoca decadente in cui viviamo. Oggi, più qualcosa è “figo” e acclamato, più viene automaticamente valorizzato come positivo, a prescindere dal contenuto che esso veicola. Al contrario, ciò che ha pochi follower, come ad esempio alcune innovative teorie scientifiche, viene definito perdente, o quanto meno non interessante, dimenticando che anche personaggi come Gesù Cristo, Buddha e alcuni filosofi del passato, avevano pochissimi seguaci, ma questo non pregiudicava il valore dei loro insegnamenti.
Il modello vincente è testimoniato anche dal senso di competizione e dall’importanza data alla vittoria. Se ci siamo posti l’obiettivo di arrivare primi, e alla fine ci siamo riusciti, ci riteniamo grandi, ci sentiamo vincenti. Ma cosa abbiamo imparato, se ci siamo limitati a questo? Niente, perché ci siamo posti davanti un obiettivo finto, illusorio.
Quando invece il nostro scopo è metterci alla prova, vedere fino a dove possiamo arrivare per perfezionarci sempre di più, imparando così qualcosa su di noi, non c’è un parametro esterno di riferimento, perché il riferimento siamo noi stessi. Questo ancoraggio ci permette di osservare cosa potremmo migliorare, affinare e regolare nel nostro movimento quotidiano, al fine di renderlo sempre più definito e ”a nostra immagine”. In questo modo, esso esprimerà in modo sempre più accurato ciò che siamo realmente.