Ogni oggetto esistente, e la relativa parola che lo definisce, è composto da due metà, una emotiva e l’altra formale, come abbiamo visto nel precedente articolo. Prendiamo ad esempio la parola Atmosfera. Il termine deriva dalla radice sanscrita -aut o -at, che significa “soffio, respiro”, e che è la stessa della parola Atman, e da sphaira, “sfera, globo”. La parola Atman indica il sé, il soffio vitale, l’anima, l’individuo assoluto, ovvero l’origine assoluta di ciò che è individuale, e quindi la vita soggettiva. Da ciò deduciamo che l’atmosfera indica la dimensione nella quale esiste la vita individuale, e in cui il sé ha iniziato ad esprimersi.
Queste nuove informazioni sull’atmosfera non modificano quelle già acquisite, bensì le espandono, evolvendo la nostra percezione. Abbiamo scoperto, dunque, che l’atmosfera indica la dimensione in cui il sé si esprime, e come fa l’anima ad esprimere se stessa? Attraverso l’esperienza che fa dentro il corpo fisico, il suo veicolo di espressione.
Possiamo ulteriormente approfondire questa indagine, rilevando quello che manca all’osservazione empirica “di matrice positivista”, ovvero la Causa. Sappiamo infatti che l’atmosfera è composta da ossigeno, carbonio, idrogeno, argon, ma da dove vengono questi gas? E perché essa comprende un ecosistema fatto apposta per trasformare, ad esempio, l’ossigeno in energia, anidride carbonica e vapore acqueo? Attraverso l’osservazione, deduciamo che l’atmosfera è un intero che al suo interno contiene delle strutture deputate a ospitare delle entità individuali, la cui funzione è quella di generare un circolo di trasformazione.
L’esclusione della Causa dal processo di indagine ha portato la ricerca, in molti campi del sapere, a un vicolo cieco, limitandone il potenziale conoscitivo. Indagando ogni oggetto come intero complesso, e rilevando che tale complessità non può esser scaturita dal caso, un ricercatore può invece partire dall’osservazione empirica per giungere alla causa di tutto ciò che esiste.