Uno dei più forti vincoli nell’intraprendere un percorso di ricerca di sé è la paura del cambiamento. Può suonare come un paradosso, poiché un ricercatore in quanto tale Cerca, e lo fa senza avere alcuna aspettativa: egli è aperto a qualunque risultato disponibile, e ad accogliere un nuovo elemento, anche se esso mette in discussione la teoria precedente. Questo è l’atteggiamento che hanno avuto gli esploratori del Cinquecento, come Magellano, che era mosso dal desiderio di conoscere nuove terre, di aprire nuove rotte di navigazione, e proseguì il suo viaggio ignaro di tutte le avversità che lo aspettavano o delle scoperte che avrebbe fatto.
Al contrario, sebbene molti di noi abbiano fatto l’esperienza di essere attratti da una nuova porta, come ad esempio dalla possibilità di cambiare vita, spesso non ci sono riusciti. Come mai è cosi difficile farlo? A causa della resistenza di quella parte di noi che vorrebbe avere sempre il controllo di ogni cosa; essa ci blocca con mille paranoie, perché ha bisogno di certezze, teme le brutte figure, e non si imbarcherebbe mai in un’impresa senza sapere come andrà.
Se ad esempio ci trasferiamo in un’altra città, invece di cogliere le opportunità di sperimentare chi siamo attraverso il nuovo che ci si sta schiudendo davanti, spesso ci limitiamo a replicare nel nuovo spazio il vecchio contesto da cui proveniamo. Se eravamo dei bravi commercialisti, cerchiamo le “giuste conoscenze” per poter svolgere lo stesso lavoro; se siamo andati a vivere all’estero, frequentiamo solo ristoranti italiani, e così via. Il risultato che otteniamo è quello di diventare la fotocopia di ciò che eravamo.
Il movimento di ricerca non è geografico, bensì è funzionale, è in espressione. Essere ricercatori, quindi, significa fare un passo in un territorio dove non si è mai giunti prima, perché quello dove siamo già stati lo conteniamo, è dentro di noi.