Osservando il sistema naturale, possiamo facilmente rilevare che ogni ente che vive al suo interno si muove orientato verso uno scopo. Ogni forma, da quella dell’albero, che produce ossigeno e utilizza l’anidride carbonica per i suoi processi vitali, fino al lombrico, che processa le sostanze organiche presenti nel terreno per produrre humus, opera naturalmente una trasformazione che la porta a produrre qualcosa. Essa è dunque fertile.

Tale orientamento a un obiettivo non è invece immediatamente osservabile nell’essere umano. Analizzando la nostra giornata e la nostra vita con sincerità, scopriamo che ci sono tantissimi momenti ed eventi nei quali invece di essere fecondi, fertili – e dunque felici, come indica l’etimologia di questa parola – siamo indotti a disperdere, e quindi a non produrre alcun risultato. Cosa significa disperdere? Come possiamo facilmente intuire osservando la nostra quotidianità, ciò che ci spinge al movimento è una perturbazione; essa consiste in un’oscillazione che contiene un potenziale di cambiamento, una possibilità che può esprimersi, ovvero prendere forma. Vediamo meglio in cosa consiste questa dinamica.

Possiamo conoscere noi stessi solo attraverso il nostro movimento, e nella relazione con gli oggetti del nostro orizzonte d’esperienza. Quando un nuovo oggetto – appunto, una nuova possibilità – viene messo in gioco nel nostro orizzonte, esso è per noi qualcosa di ignoto, caotico, poiché non ha ancora una collocazione all’interno di noi. Tale confusione da riordinare e riconoscere corrisponde a una perturbazione emotiva che ci spinge a indagare il nuovo oggetto, a trovare la chiave che ci permetta di interagire con esso, o di affrontarlo nel caso venga percepito come un “problema”. D’altronde, se non ricevessimo stimoli che ci portano al cambiamento e a metterci in gioco, non potremmo fare alcuna esperienza di ciò che ci circonda e dunque di noi stessi, bloccando così il naturale movimento di ricerca di ciò che siamo.

Quando veniamo perturbati da qualcosa, possiamo operare in due modi: utilizzare tale perturbazione come propulsore per muoverci, comprendere, e produrre così dei risultati – creando ad esempio una nuova forma e acquisendo conoscenza – oppure possiamo bloccarci nel dubbio, restare fermi a rimuginare, ad arrabbiarci, a soffrire, o anche a crogiolarci nel benessere raggiunto, a seconda della qualità della perturbazione. In quest’ultimo caso, non produrremo alcun risultato, e dunque disperderemo quel potenziale di potere che la perturbazione portava con sé.

Share This