Non ho un buon rapporto con il mio corpo. È un’affermazione piuttosto comune nella società in cui viviamo; essa è correlata all’importanza capitale data all’immagine, che a sua volta determina l’esponenziale crescita del settore estetico, del fitness e di quello della chirurgia plastica. Questa relazione disarmonica con il proprio veicolo d’esperienza nella quotidianità, si esprime nell’assegnazione di valori negativi nei confronti di specifiche caratteristiche fisiche. Per esempio, potremmo giudicarci bassi, troppo magri, oppure volere i capelli lisci invece che ricci, gli occhi azzurri, il nasino alla francese, e così via. Si tratta, dunque, di aspetti puramente estetici, di un “non mi piaccio così come sono”.
Cosa indica questa sensazione di disagio? Se indaghiamo più a fondo, scopriremo che c’è qualcosa di molto più complesso del puro giudizio estetico. Essa indica infatti una reale disarmonica relazione con il nostro veicolo d’esperienza. Il corpo, in quanto strumento programmato, che possiamo equiparare a un libro, scritto dall’Autore di ogni cosa, accoglie dentro di sé un’Anima transiente, un ente vitale, che fa esperienza di ciò che egli è leggendo quel libro, ovvero vivendo in quel corpo. Transiente e corpo si intrecciano, e sono destinati a convivere idealmente per tanti anni, ventiquattr’ore al giorno. Insieme instaurano una relazione di reciproco nutrimento, nella quale l’uno (il corpo fisico) interpreta e rappresenta ciò che l’altro sente, i suoi stati, così come avviene per un personaggio e l’attore che lo interpreta.
Sentiamo di non essere in sintonia con il corpo perché, invece di lasciarci guidare nel movimento da esso, di leggere la sua storia, di farlo sviluppare in modo naturale, lo soffochiamo. Cerchiamo di modificarlo, di cambiarlo esteticamente, e lo intossichiamo con del cibo insalubre, con sostanze dannose, annichilendo inoltre il suo sistema cognitivo. In questo modo, la sua capacità percettiva viene ridotta drasticamente, a volte irrimediabilmente. Questa percezione di disagio è dunque il rifiuto della forma del proprio corpo; non entrando in comunicazione con esso, formuliamo un modello di corpo diverso da quello che abbiamo, una tipologia più accettabile o più in linea con il nostro modello di conformità sociale. Questa convinzione manca però di un’informazione fondamentale: siamo quel che siamo proprio perché abbiamo delle caratteristiche peculiari che ci rendono unici, e ci distinguono da tutti gli altri. Quando ci lamentiamo di essere fatti in un modo e non in un altro, è come se fossimo un numero 2 che si lamenta della propria forma, e che vorrebbe essere, ad esempio, un numero 4.
Per poter vivere in modo armonico il proprio corpo e dunque la vita stessa, è necessario imparare ad ascoltare e osservare i suoi segnali, come ad esempio i cambiamenti che attua, perché sta passando in una nuova fase di esistenza. Dobbiamo imparare a entrare in comunicazione con esso, con ciò che è, utilizzandolo come strumento unico di interazione con tutto ciò che ci circonda, riconoscendo l’unicità della sua forma e della sua funzione.