Cosa significa “trovare se stessi”? Probabilmente abbiamo incontrato questa frase in tanti libri, articoli e video, ma raramente tali contenuti offrono indicazioni esaustive sul modo in cui avviene tale ricerca. In estrema sintesi, siamo in cerca della nostra identità: ne abbiamo una come Individui, ma non la conosciamo. Per questo motivo, facciamo esperienza dentro a un corpo fisico come Transienti, vivendo la sua storia; man mano che essa si svolge, nel percorrerla scopriamo nuovi tasselli di ciò che siamo. Quello che ci viene messo davanti nella vita non è infatti casuale, ma è propedeutico a questa ricerca, a farci riconoscere parti di noi in tutto quello che incontriamo e che possiamo sperimentare. Qualunque cosa con cui interagiamo nella quotidianità è infatti già contenuta dentro di noi, la dobbiamo ri-conoscere, entrandoci in relazione.
Come avviene questo processo di riconoscimento? Inizia facendo esperienza di un oggetto, e si completa quando le informazioni che abbiamo ricavato da questa interazione diventano conoscenza, ovvero quando lo acquisiamo come un aspetto della nostra identità. Come possiamo facilmente intuire, il riconoscimento non è sempre immediato. Quando ci troviamo davanti a una parte di noi, infatti, soprattutto se è una novità nel nostro campo variabile, sperimentiamo una perturbazione, che è l’espressione di un processo di risonanza in corso dentro di noi, di cui abbiamo esaustivamente già parlato in questo articolo. Non si tratta di un processo conoscitivo, quindi, bensì di un processo ri-conoscitivo, perché quell’oggetto già lo conteniamo.
Tale perturbazione ci fa oscillare, perché viene tradotta e filtrata dall’ente egoista, e dal modello di conformità che esso veicola. Se ciò accade, ci relazioniamo con un nuovo oggetto in modo corrotto, attraverso degli standard di valore, tanto che se esso non è compatibile con questi standard, lo rifiutiamo iniziando una guerra, che è a tutti gli effetti una guerra con noi stessi, e che viene vissuta come un’avversità. È come se ci vedessimo per la prima volta allo specchio e non ci riconoscessimo: da lì l’opportunità, nel corso dell’esperienza e della relazione con ciò che abbiamo davanti, di trovare la giusta chiave, comprendendo che stiamo interagendo con il nostro riflesso. Più il processo di riconoscimento è in movimento, più il nostro spazio si espande. Meno cose riusciamo a riconoscere, invece, più il resto del nostro orizzonte diventa oscuro e oggetto di ignoranza. Sappiamo infatti che l’ignoranza è letale, perché fa in modo che non abbiamo alcun potere sugli oggetti, con i quali in questo caso postuliamo che non esista una relazione attiva, negandoci la facoltà di sentirli, di percepirli. La conseguenza di questo processo è che il nostro spazio col tempo diventa sempre più piccolo.
Per questo motivo, per quanto spesso sia difficile accettare ciò che ci capita e dargli un senso, perché non lo riconosciamo, e per quanto sia sfidante affrontare con fiducia un nuovo capitolo della propria vita, l’unica soluzione che abbiamo è metterci in movimento per esplorarlo. D’altronde, l’istinto alla ricerca è disegnato dentro ognuno di noi, e riconoscere ciò che siamo attraverso tale ricerca è l’unico vero scopo che abbiamo.