Mi definiscono spesso come “hacker”. Questo termine è stato piuttosto abusato nell’era informatica, legandolo all’utilizzo non convenzionale degli strumenti, o comunque alla grande curiosità e al desiderio di entrare molto a fondo nella tecnologia, sempre informatica. In realtà, è una proprietà umana. Per quanto mi riguarda, Gandhi era un hacker, così come Einstein o Martin Luther King, e altri personaggi simili. È il ragionare fuori dagli schemi, il poter trovare soluzioni o esporre se stessi a un fuoco vivo, molto più bruciante e si potrebbe dire da un certo punto di vista rischioso, di quanto si fa nella normalità, per sopravvivere. Se hai il coraggio, e questo è un termine che significa “avere cuore”, secondo l’accezione latina, sei un hacker. Se invece impieghi le tue conoscenze informatiche per rubare o compiere azioni distruttive, non sei un hacker, bensì un informatico che utilizza dei trucchi. C’è una bella differenza.

Quello che mi ha portato a essere un esperto di sicurezza informatica è stata una forte curiosità per il modo in cui si stava evolvendo una tecnologia che sta ormai diventando sempre più una protesi, e una pallida imitazione delle facoltà umane. Dal momento, però, che gli umani continuano a esistere e sono dotati di facoltà, qual è lo scopo di questo sviluppo? Considero questa ipertecnologizzazione una sconfitta, anche se mi rendo conto che, dicendo questo, mi sto dando la zappa sui piedi, dato che sono considerato un esperto in materia. Dovrei forse dire che tale uso della tecnologia è bellissimo, mentre per me è un traguardo molto triste, perché l’essere umano la sta privando della sua originaria funzione di utilità come amplificatore delle sue capacità. Quello che stiamo facendo, invece, è delegare a lei tutto quello che noi siamo, che abbiamo e che ci rappresenta. Tranne la nostra interiorità, si spera. Certo, possiamo fare questa intervista via Skype perché esistono i telefonini. E quindi? Una conquista incredibile! Mi sento meglio, e adesso potrò toccare Dio.

Un esempio eclatante è il famoso microchip, tanto pubblicizzato, che ti permette di pagare senza mettere mano al portafoglio, o aprire le porte senza usare le chiavi. Caspita che fatica, tirare fuori il portafoglio per pagare! Devi avere un chip, perché nemmeno la mano devi muovere. Avete capito come ci sta riducendo tutto questo? A una larva, che delega le proprie azioni quotidiane a dei meccanismi automatici. Certo, quando sei comunque un dormiente, non ti fa nessuna differenza, ma quando vorresti vivere una vita reale, tutto questo ti sembra non solo un limite, bensì una vera e propria prigione. Arriverà il giorno in cui un semplice click del mouse potrà cancellarci, e da quel momento non esisteremo più.

Se tu affidi tutto ciò che rappresenta te stesso a una macchina gestita da altri, stai praticamente vendendo la tua identità, i tuoi soldi, i tuoi averi a degli sconosciuti, che poi possono farci quello che vogliono. Questo vale anche per i tuoi desideri e la tua intimità, se vogliamo parlare, ad esempio, dei social network. I social network sono praticamente dei sistemi di autoschedatura, grazie ai quali adesso non c’è più bisogno degli investigatori privati per creare un dossier su una persona. Oltre tutto, con i vari “mi piace” e le pubblicazioni dei vari link, si rivelano anche molte informazioni private che sono protette dalla legge sulla privacy: ad esempio, lo stato di salute, il credo religioso, la preferenza politica e i gusti sessuali. Ti si chiede di farlo, e tu lo fai. Il trucco sta nell’indurti ad agire volontariamente: un po’ come mangiarti vivo, facendoti sembrare piacevole la cosa. Facebook, secondo me, sarà la piattaforma ideale anche per gli scenari delle guerre future. Ci saranno schieramenti nemici che si faranno la guerra a colpi di “mi piace”. Non sto scherzando. Già adesso le proteste si fanno in questo modo, da quella antivivisezione alla lotta al nucleare, portate avanti a suon di gruppi e relativi consensi. E una volta che hai cliccato, cosa cambia?

All’azienda farmaceutica che fa la sperimentazione sugli animali vivi, secondo te gliene frega qualcosa che tu abbia aderito a un gruppo, o abbia cliccato “mi piace” su un link di Facebook? Prima, negli anni ’70, la gente protestava scendendo per strada con i forconi. Non sto dicendo che è una situazione auspicabile, però sicuramente, se eri incazzato, si vedeva. Adesso, invece, c’è un gruppo su Facebook che lo dice per te. Ci siamo ridotti così: si sta a casa e si pensa pure di aver fatto qualcosa di utile, interagendo davanti a un monitor. Tutto può avvenire in questo modo, pensateci: dalla guerra alle relazioni d’amicizia che iniziano e finiscono in chat. Così facendo, non rompi le scatole al sistema, che ti fa vedere tutto quello che vuoi, tutte le illusioni e le piccole cose che ti possono far sentire vivo, senza sentirti in pericolo in mezzo al mondo.

Da intervista di Fabio Ghioni a Radio UFOCast

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