Uno dei princìpi che regolano la struttura di ogni oggetto è quello della fertilità e fecondità. Affinché un principio assoluto, che appartiene al reame delle cause, possa essere percepibile e sperimentabile nella dimensione in cui ci troviamo, quella della rappresentazione, ha bisogno di manifestarsi attraverso un’espressione tangibile. Nella fattispecie, l’espressione della fertilità qui è il valore. Ogni espressione, inoltre, può svolgersi in modo naturale o afflitto, a seconda dello stato dell’individuo che la genera. Nel primo caso, l’espressione è collegata al principio assoluto che essa rappresenta, e dunque nel caso specifico abbiamo la percezione del valore reale di un oggetto. Nel caso in cui, invece, il valore di un oggetto sia corrotto da uno sguardo afflitto, che ne vede solo l’espressione rappresentata, e a quella si attacca, assume la forma della sterilità.

Vediamo meglio questa dinamica con alcuni esempi. Pensiamo a un albero: esso è fertile, ovvero produce qualcosa; genera i suoi frutti, ma anche lo stesso legno di cui è costituita la sua struttura, attraverso l’elaborazione dell’anidride carbonica presente nell’aria. Tutto ciò che esso produce ha inoltre un’utilità e uno scopo sia per la propria sopravvivenza, che per quella degli altri elementi del contesto in cui si trova. Cosa viene invece comunemente ritenuto di valore, al giorno d’oggi? Ciò che non produce alcun risultato utile, ma genera invece un’illusione, ed è dunque sterile. Pensiamo ad esempio al valore illusorio di avere tanti follower su un social network, o a quello di essere ricchi e famosi. Ciò non è utile alla sopravvivenza di alcun ente, né tantomeno alla crescita evolutiva dell’individuo che fa esperienza dentro a un corpo fisico, perché non gli porta conoscenza: egli potrebbe infatti perdere questi oggetti da un momento all’altro, scoprendo che non hanno alcun effettivo valore.

Gli economisti degli ultimi due secoli hanno inoltre stabilito che abbia valore ciò che scarseggia nel pianeta, come alcune pietre preziose e l’oro. L’oro è storicamente bramato per la sua inerzia chimica, ovvero la sua alta capacità di resistere nel tempo a qualsiasi cambiamento, e dunque all’interazione con molte sostanze chimiche, con gli agenti atmosferici, e così via. L’oro non è fecondo, e non è altresì utile nella relazione con altri elementi di un contesto, perché resiste alla possibilità di concepire qualcosa con essi. Se mettiamo a confronto la sterilità dell’oro con il valore oggettivo di un albero, vediamo facilmente che quest’ultimo manifesta il principio della fertilità in modo naturale. L’albero subisce costantemente delle trasformazioni, che gli servono a evolvere per adattarsi a differenti e mutevoli circostanze ambientali, e tale capacità trasformativa è collegata al funzionamento dell’intero di cui fa parte. La sua presenza è inoltre indispensabile a molti altri enti con i quali interagisce: esso fornisce ossigeno e cibo all’essere umano; riparo a molti insetti e animali, favorendo la biodiversità; migliora la qualità del terreno in cui si trova, e così via. Questo è il reale valore dell’albero: nell’analisi della sua funzione, vediamo in atto il principio di fertilità e la sua rappresentazione insieme.

Share This